I GENERI DEL CINEMA ITALIANO
Peplum (o Sword and sandal, cioè Spada e sandalo): comprende sia il film d’azione che quello fantastico, purché di argomento storico o mitologico e quindi ambientati in contesti biblici o nel periodo Greco o Romano. Il nome peplum deriva dalla parola greca, mutuata dal latino, che indica una tunica femminile greca, il peplo, semplice da realizzare ed apprezzata dai reparti costume di questi film. Questo genere in realtà è uno dei più antichi della storia del cinema: Quo vadis? di E. Guazzoni è del 1913, senza dimenticare Cabiria di Pastrone del 1914. Il cinema dei “forzuti”, ovvero l’uso di protagonisti atletici e muscolosi, si afferma a metà degli anni ’20 con una lunga serie di film su Maciste. Un esempio: Last days of Pompeii (1959) di Mario Bonnard e Sergio Leone. Esempio comico: Totò contro Maciste (1962) di Fernando Cerchio.
Poliziottesco o poliziesco all’italiana: è stato un genere cinematografico di ambiente poliziesco caratterizzato da numerose scene di azione e violenza brutale, atmosfere da strada, poliziotti solitari, intrepidi, tenaci e vendicativi, interpretati da Franco Nero, Maurizio Merli o Thomas Milian. Le trame a volte prendono spunto da fatti di cronaca nera dell’epoca, sviluppandoli in chiave enfatica, demagogica o comica. Esempio: Milano violenta di Mario Caiano (1976). Esempio comico: Er monnezza.
Commedia all’italiana: più che un vero e proprio genere, come potrebbe essere il western o il thriller, il temine indica un periodo in cui in Italia venivano prodotte principalmente commedie brillanti, ma con dei contenuti comuni come la satira di costume e l’ambientazione preferentemente borghese, caratterizzate per lo più da una sostanziale amarezza di fondo che stempera generalmente i contenuti comici. Registi più importanti: Germi, Comencini, Risi, De Sica, Monicelli… Esempi: I mostri (1963) di Dino Risi e L’armata Brancaleone (1966) di Monicelli.
Commedia Sexy: filiazione della commedia all’italiana. Filmografia. Esempio: Pierino e la supplente di Marino Girolami (1982).
Horror: caratterizzato da scene finalizzate a suscitare nello spettatore emozioni di paura, disgusto ed orrore. Le trame solitamente vedono la presenza dell’ignoto in senso ostile (come forze, eventi, personaggi del male o di origine soprannaturale) nel mondo di tutti i giorni. Sotto-genere è il cannibal-movie. L’horror si può dire che nasca con il cinema stesso. Tra i rappresentanti maggiori di questo genere abbiamo: Bava, Freda, Margheriti, Argento, Fulci, Joe D’Amato. Esempio: Mask of the demon di Mario Bava (1960).
Spaghetti- western: il termine, nato negli Stati Uniti, voleva indicare dei lungometraggi girati in italiano, con budget ridotti e povertà di mezzi, secondo le convenzioni dei primi western, in parte intenzionalmente, in parte come conseguenza della limitatezza delle risorse finanziarie. Inoltre, il termine voleva alludere alla grande quantità di sangue sparso nei film, che ricordava molto il sugo sugli spaghetti. Quentin Tarantino ha detto: “Senza gli spaghetti western non esisterebbe una buona parte del cinema italiano. E Hollywood non sarebbe la stessa cosa.” Il maggiore esponente è sicuramente Sergio Leone. Da non dimenticare anche l’aspetto comico dello spaghetti western con i film interpretati da Bud Spencer e Terence Hill. Esempi: Per qualche dollaro in più e scena del triello in Il buono, il brutto, il cattivo (1966) di Sergio Leone e Il signore lo prende doppio da Continuavano a chiamarlo Trinità di Enzo Barboni (1971).
Decamerotico: termine usato per raggruppare e descrivere alcuni film a spiccato sfondo erotico ma senza sfondare nella pornografia, ambientati principalmente nell’Italia tardo medioevale e narranti, principalmente, le avventure sessuali del popolo e/o del clero. Il filone è involontariamente iniziato da P.P.Pasolini con la sua Trilogia della vita. Quel gran pezzo dell’Ubalda… (1972) di Mariano Laurenti.
Tra i vari generi nati negli anni sessanta-settanta, due in particolare hanno un considerevole riscontro anche all'estero: il western all'italiana di Sergio Leone e il thriller-horror, di cui Dario Argento è certamente il regista più noto.
Con la "trilogia del dollaro", formata da "Per un pugno di dollari" (1964), "Per qualche dollaro in più" (1965) e "Il buono, il brutto, il cattivo" (1967), Sergio Leone ridefinisce i canoni del western classico e confeziona tre enormi successi di pubblico che segnano la nascita del western all'italiana (il cosiddetto spaghetti-western), caratterizzato tra l'altro dall'accentuazione della violenza, la dilatazione dei tempi (con primi piani insistiti e sequenze che evocano solennità e ritualità) e il sottile taglio dissacratore. Il favore del pubblico, in tutto il mondo, è tale da innescare la proliferazione di un genere che produce, dal 1964 al 1973, oltre quattrocento film che ne riprendono la formula, dando poi vita anche a un filone "politico" (per esempio "Quien sabe?" di Damiano Damiani, 1966) e a quello comico che si impone sull'onda del successo della coppia formata da Bud Spencer e Terence Hill (a partire da "Lo chiamavano Trinità", 1970, di E. Barboni).
Il thriller-horror, invece, si afferma in Italia a partire dalla pellicole di Riccardo Freda ("I vampiri", 1956; "L'orribile segreto del dr. Hichcock", 1962) e Mario Bava ("La maschera del demonio", 1960), e trova la sua formula più compiuta nella filmografia di Dario Argento. A partire dal successo internazionale di "L'uccello dalle piume di cristallo" (1970), Argento s'impone con uno stile che coniuga sadismo voyeuristico, colpi di scena improvvisi, spazi claustrofobici, colori saturi e colonne sonore angoscianti, e che trova in "Profondo rosso" (1975) la sua pellicola più rappresentativa.
Un genere meno esportato, ma più influente sul linguaggio comune all'interno dei confini nazionali, è quello comico. Negli anni settanta in particolare, tra le commedie sexy (spesso interpretate da Lino Banfi in coppia con Edwige Fenech) e le parodie di Franco e Ciccio, emerge soprattutto la saga del ragionier Fantozzi: un personaggio, creato e interpretato da Paolo Villaggio, che si impone nell'immaginario collettivo, divenendo figura emblematica dell'impiegato goffo, servile e frustrato.
Tra gli altri generi che si affermano negli anni settanta, si ricorda infine il poliziesco all'italiana, detto "poliziottesco", rivalutato in anni recenti anche per impulso del regista Quentin Tarantino, che lo ha citato più volte come fonte d'ispirazione.
Tra gli altri generi che si affermano negli anni settanta, si ricorda infine il poliziesco all'italiana, detto "poliziottesco", rivalutato in anni recenti anche per impulso del regista Quentin Tarantino, che lo ha citato più volte come fonte d'ispirazione.
I REGISTI DEL CINEMA ITALIANO DI GENERE
Mario Bava
Muove i primi passi nel cinema come direttore della fotografia (collaborando con registi del calibro di: Mario Monicelli, Dino Risi, Georg Wilhelm Pabst e Riccardo Freda) e anche, successivamente, come responsabile degli effetti speciali. È ormai assodato che ha anche diretto, sebbene non accreditato, diverse parti del primo horror italiano, I vampiri, proprio di Freda.
Il suo debutto ufficiale alla regia, avviene nel 1960 con La mascera del demonio.
Oltre ad aver fissato gli archetipi del thriller all’italiana e dello slasher, rispettivamente con Sei donne per l’assassino e Reazione a catena, si è contraddistinto per l’uso inventivo del colore, per i geniali effetti artigianali e per le atmosfere gotiche. Ha ispirato decine e decine di registi, tra cui: Dario Argento (e in generale la maggior parte dei registi di genere italiani), Federico Fellini, Tim Burton e Nicolas Winding Refn.
Dario Argento
Se Bava è colui che ha stabilito le coordinate principali del thriller all’italiana, Argento è colui che ha fatto evolvere certe caratteristiche. L’uccello dalle piume di cristallo, è stato il modello per tutti i thriller prodotti in Italia, successivi alla sua uscita (non a caso molti dei thriller distribuiti poco dopo, avranno un titolo che richiama ad un animale). Cercando di portare avanti la sua idea di cinema, con Profondo rosso inserisce nel giallo elementi splatter, virando su atmosfere orrorifiche. Abbraccerà l’horror in modo definitivo, con due capisaldi del genere (probabilmente anche i due suoi lavori) migliori, Suspiria e Inferno. Purtroppo, dopo Inferno, le idee verranno sempre meno, ma nonostante tutto, è riuscito a regalarci almeno altri gioiellini: Phenomena, Tenebre e diverse sequenze di Opera, Trauma e Nonhosonno.
Muove i primi passi nel cinema come direttore della fotografia (collaborando con registi del calibro di: Mario Monicelli, Dino Risi, Georg Wilhelm Pabst e Riccardo Freda) e anche, successivamente, come responsabile degli effetti speciali. È ormai assodato che ha anche diretto, sebbene non accreditato, diverse parti del primo horror italiano, I vampiri, proprio di Freda.
Il suo debutto ufficiale alla regia, avviene nel 1960 con La mascera del demonio.
Oltre ad aver fissato gli archetipi del thriller all’italiana e dello slasher, rispettivamente con Sei donne per l’assassino e Reazione a catena, si è contraddistinto per l’uso inventivo del colore, per i geniali effetti artigianali e per le atmosfere gotiche. Ha ispirato decine e decine di registi, tra cui: Dario Argento (e in generale la maggior parte dei registi di genere italiani), Federico Fellini, Tim Burton e Nicolas Winding Refn.
Dario Argento
Se Bava è colui che ha stabilito le coordinate principali del thriller all’italiana, Argento è colui che ha fatto evolvere certe caratteristiche. L’uccello dalle piume di cristallo, è stato il modello per tutti i thriller prodotti in Italia, successivi alla sua uscita (non a caso molti dei thriller distribuiti poco dopo, avranno un titolo che richiama ad un animale). Cercando di portare avanti la sua idea di cinema, con Profondo rosso inserisce nel giallo elementi splatter, virando su atmosfere orrorifiche. Abbraccerà l’horror in modo definitivo, con due capisaldi del genere (probabilmente anche i due suoi lavori) migliori, Suspiria e Inferno. Purtroppo, dopo Inferno, le idee verranno sempre meno, ma nonostante tutto, è riuscito a regalarci almeno altri gioiellini: Phenomena, Tenebre e diverse sequenze di Opera, Trauma e Nonhosonno.
Sergio Leone
Colui che ha rivoluzionato il western con Per un pugno di dollari (ri-adattamento di La sfida del samurai di Akira Kurosawa) e che ha diretto almeno tre film, tra i più belli di sempre nell’intero panorama del cinema del nostro paese: Il Buono, il Brutto, il Cattivo, C’era una volta il West e C’era una volta in America.
Sergio Corbucci
Stesso discorso fatto per Fulci, anche Corbucci, dalla critica non ha mai ricevuto le attenzioni che avrebbe meritato, a causa della sua disposizione a dirigere qualsiasi tipo di pellicola, quasi tutte su commissione. Adesso che i suoi lavori sono stati storicizzati, possiamo affermare con certezza che, ovviamente dopo Sergio Leone, ci troviamo di fronte al più grande regista di spaghetti western. Alcuni sono dei veri e propri must del genere: Django, Il mercenario, Il grande silenzio, Gli specialisti e Vamos a matar compañeros. Oltre agli spaghetti western, Corbucci ha diretto ottime commedie, collaborando con Totò, Vittorio De Sica, Peppino De Filippo, Bud Spencer, Terence Hill, Paolo Villaggio e Renato Pozzetto, si ricordano: I due marescialli, Totò e Peppino e… La dolce vita, Che c’entriamo noi con la rivoluzione?, Pari e dispari e Chi trova un amico trova un tesoro.
Lucio Fulci
Per anni finito nel dimenticatoio, Fulci è stato rivalutato dalla critica, soltanto poco prima della sua scomparsa. Vuoi per la sua prolificità, vuoi per la sua propensione ad accettare ogni tipo di film (la sua filmografia spazia dal thriller all’horror, dal musicarello alle commedie con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, dal poliziottesco allo spaghetti western, dalla fantascienza al dramma storico) sfortunatamente non è mai stato preso sul serio. Ci penseranno registi come Quentin Tarantino e Robert Rodriguez, insieme a riviste di genere (in Italia soprattutto Nocturno) a farlo conoscere al pubblico più generalista. La sua trilogia della morte (Paura nella città dei morti viventi, …E tu vivrai nel terrore! L’aldilà e Quella villa accanto al cimitero), insieme a Una lucertola con la pelle di donna, Non si sevizia un paperino, Sette note in nero e Zombi 2, sono sicuramente tra i migliori film di genere mai prodotti nel nostro paese.
Fernando Di Leo
Indiscutibilmente il maestro del noir nostrano. Catalogare i suoi lavori come semplici “poliziotteschi” sarebbe un’eresia, nei suoi film siamo nella maggior parte dei casi dal lato del criminale; un anti-eroe più vicino ai personaggi di Jean-Pierre Melville, non il solito “commissario di ferro” alla Maurizio Merli.
I film della Trilogia del Milieu, sono uno meglio dell’altro ,“teste di serie” del noir italiano (forse solo Umberto Lenzi, con Milano odia: la polizia non può sparare, è riuscito a raggiungere certi livelli).
Prima di concludere la sua attività cinematografica, Di Leo, ci ha lasciato un’opera, discussa e impossibile da classificare, di singolare ferocia e originalità: Avere vent’anni.
Ruggero Deodato
Conosciuto anche, soprattutto in Francia, come Monsieur Cannibal è l’autore di uno dei film più schockanti e disturbanti della storia del Cinema (e a mio avviso uno dei migliori horror di sempre), Cannibal Holocaust; opera in cui la narrazione per la prima volta è basata sulle riprese registrate dai protagonisti della storia, che vengono usate consapevolmente per dare al film un aspetto più realistico, da poco omaggiato da Eli Roth con The green inferno. Come ogni grande regista di genere, Deodato non si è limitato a dirigere solo horror, ma è riuscito a lasciare il segno con altre ottime pellicole, degne di rilevanza: Poliziotti si nasce, poliziotti si muore (con una sequenza d’inseguimento iniziale incredibile ancora oggi) e La casa sperduta nel parco. Nel 2016 è tornato alla regia, dopo più di 20 anni dal suo ultimo lungometraggio, con il godibile Ballad in blood.
Umberto Lenzi
Regista tra i più eclettici nel panorama italiano, Lenzi è considerato uno dei maestri del poliziottesco (insieme a Fernando Di Leo e Engo G. Castellari). Grandiose le sequenze d’azione e le scene di violenza granduignolesca dei suoi lavori, come in Milano odia: la polizia non può sparare (con una bellissima OST di Ennio Morricone) e Napoli violenta. Si è messo in discussione più volte, affrontando con successo anche il giallo all’italiana (inizialmente quello di matrice hitchockiana e successivamente quello di deriva argentiana) e l’horror, dove è riconosciuto come il secondo maestro dei film cannibalici, dopo Deodato.
Sua la geniale idea di far diventare Tomas Milian un personaggio comico, introducendo il Monnezza in Il trucido e lo sbirro.
Sergio Martino
Riconoscibile dall’uso estremo del grandangolo e dalle numerose sequenze oniriche, Sergio Martino ha dato il suo meglio quando ha affrontato il thriller/giallo. Le sue pellicole più riuscite, sono senza dubbio: Lo strano vizio della signora Wardh, Tutti i colori del buio (più vicino all’horror che al giallo) e I corpi presentano tracce di violenza carnale. Il primo, un vero e proprio giallo, ha diversi colpi di scena che si incastrano perfettamente (sebbene abbia un finale di troppo); gli altri due, nonostante una sceneggiatura farraginosa e raffazzonata, regalano momenti visivi di notevole fattura, come il prologo onirico di Tutti i colori del buio o una sequenza, quasi hitchockiana, in I corpi presentano tracce di violenza carnale. Martino, in ogni caso, raggiungerà un grande successo di pubblico con la commedia cult L’allenatore nel pallone, con Lino Banfi.